Presentazione

IL GUSTO DEL SAPERE

La “festa del Nino” per il 2007 vorrebbe essere un catalizzatore dei “sapori”, ovvero dei “saperi”, che attraverso il gusto possono essere letti, scritti e trascritti nello sterminato e mai casuale mosaico di tradizioni alimentari che si distende vivo sul territorio.

La stessa complessità del paesaggio fonda la varietà della cucina che del paesaggio è sintesi e conservare una ricetta può comportare anche il proteggere dall’estinzione una varietà di mele che forniscono alla ricetta l’ingrediente specifico selezionato per generazioni negli orti e sulle tavole di un paese. Nel mentre, la sopravvivenza di quel melo salva uno dei tanti verdi, frutto di coltura, che dipingono il volto di un bel frammento del paesaggio italiano. Ma con i “sapori” vengono trasmessi i tanti “saperi” che in essi sono racchiusi o ai quali danno vita. I modi del consumo alimentare, l’ornato che vi si crea attorno, lo stile di vita al quale danno corpo concorrono a determinare il gusto che può essere di un’epoca, di un ambiente, di una famiglia. C’è, infatti, un particolare alfabeto composto di prodotti e d’usi alimentari con cui sono descritti il territorio e la gente che ci vive. E’ l’alfabeto della “cultura che nutre” che la tradizione s’incarica di trasmettere, la vita di usare ed il gusto di leggere.

“La Festa” può essere un’occasione per riflettere sul fatto che il “sapére” deriva dal latino sàpere, il gustare nei cibi la presenza del sale che ai cibi dà, appunto, il “sapore”. E’ il sapore a determinare il gusto, le sue infinite sfaccettature, le peculiarità dei cibi e l’identità di chi se ne nutre. Infatti, mentre i buoi con le arature hanno fondato città e campi di grano dando il volto, il nome e il pane all’Italia, è il Nino l’animale di fondazione della Civiltà Italiana perchè ha aggiunto, con il lardo salato e gli altri salumi, il condimento, il “companatico” e il sapore al pane, frutto del lavoro dei buoi. All’inizio di Giugno, nella Roma antica, era consumato in onore della dea Carna, il cui nome deriva da “carne”, il piatto rituale e terapeutico più antico d’Italia durante le “calende favarie” così ben descritte da Macrobio nei Saturnali, I, 12,32. Il piatto, non dissimile da un primo, i “tacconi”, ancora in uso nel territorio pesarese, era fatto con fave, farro e lardo in onore della dea, “alla quale si chiedeva di mantenere sani il fegato, il cuore e le viscere”. Gli ingredienti erano: le fave, il cibo dell’età dell’oro, offerte ancora oggi sotto forma di dolci ai morti, il cereale più antico del grano, il farro, da cui deriva la parola farina e il lardo che ad entrambi aggiungeva il sapore. Le composizioni dei cibi, però, mutano e si arricchiscono o impoveriscono d’ingredienti di paese in paese, di famiglia in famiglia e queste diversità non sono frutto d’estemporanee variazioni del gusto ma di tradizioni che hanno radici a volte di molti secoli.

Così perdere la conoscenza di salumi come, ad esempio, i “sanguinacci” e i “ciarimboli” o di piatti come le “spuntature”, magari a seguito di disposizioni europee, non è smarrire dei “sapori” ma perdere dei “saperi” e dei beni culturali unici, segni identitari della Civiltà Italiana, esiti di rituali sacrificali che hanno millenni. I salumi, ma anche il pane e i dolci fanno parte del consumo del sacro ed ogni comunità ha i suoi attraverso il sapore e il gusto dei quali si conosce e si riconosce. Pertanto, i panettieri come i “mazzarini”, le ricette tradizionali come i piatti di famiglia, sono presidi territoriali di quell’identità culturale complessa e sedimentata che è l’autentica ricchezza dell’Italia e del suo popolo.

Ivo Picchiarelli

Fondatore ed ideologo de “La Festa del Nino”

Venerdì 12/01/2007

Sabato 13/01/2007

Domenica 14/01/2007

SOLLENNITA' RELIGIOSA DI SANT'ANTONIO ABATE